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Musica, Società

Il degrado musicale, purtroppo funziona

12.05.2024

“Dissing” e altro. Molti i sinonimi negativi che indicano lo stato in cui vive la musica di oggi. Sempre più uguale e volgare, vocabolario scarno, testi banali e toni arrabbiati. Ma il mercato premia. E la risposta sta nei social.

Uno dei luoghi comuni sulla musica è una frase che sicuramente nel corso della nostra vita abbiamo detto o sentito dire: “Non c’è più la qualità di una volta”. Una critica che ha colpito generazioni e generazioni, e da cui si sono dovuti difendere nuovi stili e a volte addirittura interi movimenti come rock & roll, hard rock, heavy metal, punk, grunge, rap e chi più ne ha più ne metta. Il fatto che, con il passare del tempo, si stia verificando un progressivo appiattimento qualitativo è quindi solo una leggenda metropolitana? In questo preciso momento storico la risposta sembra essere «no».

Lo afferma un approfonditissimo studio pubblicato su Scientific Reports, in cui si analizzano ben 353.320 testi di canzoni in lingua inglese pubblicate dal 1970 al 2020. I brani coprono svariati generi musicali (pop, rock, rap, country, R&B) e l’analisi si concentra sulla “evoluzione dei testi delle canzoni nell’arco degli ultimi decenni e le specifiche variazioni all’interno dei vari generi”. Ciò che è emerso è che in effetti nel corso del tempo sono aumentate, in media, monotonia e volgarità. Non solo: i vari autori sembrano sempre più autoreferenziali nelle loro opere.
Prendendo in considerazione alcuni importanti criteri artistici (struttura delle canzoni, complessità dei testi, rime, emozioni), si è riscontrato un “aumento generale della ripetitività” in tutti e cinque i generi musicali analizzati, mentre soprattutto per pop e R&B il tono dei brani è “sempre più arrabbiato”. Un fenomeno che, secondo lo studio, trova spiegazione nelle modalità stesse che permettono oggi la maggiore diffusione della musica. Soprattutto attraverso i social, che hanno il potere di catturare e conservare l’attenzione del pubblico nel minor tempo possibile, creando discussioni. Da qui due recenti casi discografici: Bzrp Music Sessions Vol. 53, canzone di Shakira che rappresenta un vero e proprio attacco frontale all’ex marito Gerard Piqué, e Like That, in cui il rapper (già vincitore di Premio Pulitzer) Kendrick Lamar insulta ferocemente i colleghi Drake e J Cole. Entrambi i brani hanno riscosso un successo planetario inarrestabile, fissando diversi record.

In altre parole: il “dissing” (ossia l’offesa pubblica e diretta a una specifica persona) funziona. E il mercato la premia. Un mercato a cui non importa se il vocabolario degli artisti è sempre più carente, o le canzoni sono sempre più spesso dominate da vanità, ira o anche solo banalità ai limiti dello sconfortante. La musica sta semplicemente rispettando ciò che serve per vendere, come ha sempre fatto. E sui social occorre colpire in pochi secondi, missione che si può compiere con i soliti suoni campionati già sentiti centinaia di volte, o un bell’insulto verso la celebrità di turno. Sono questi gli elementi che permettono di diventare «virali», e quindi avere successo.
Con buona pace di chi studia, sperimenta, prova a stupire. Per questi ultimi il successo è sì possibile, ma paradossalmente meno scontato rispetto a chi ripete canzoni già sentite e le rende sempre più volgari e arrabbiate.

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