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Cronaca, Esteri, Politica

La vittoria occulta di Ursula von der Leyen

19.07.2024

Un bis senza Italia per von der Leyen? In verità, nel voto segreto ha preso 53 voti meno del totale teorico dei gruppi che la sostengono. Hanno vinto i suoi richiami sull’ambiente e sull’immigrazione, o quelli sulla difesa e il Mediterraneo nel tentativo di bilanciare a destra lo schieramento? I retroscena di una vittoria significante per l’Italia.

Poco amata, ma votata: si può sintetizzare così il ritorno di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione Europea per un secondo mandato, con la maggioranza della legislatura precedente più i verdi. La vittoria al Parlamento europeo non è travolgente, ma resta solida: rispetto ai 360 voti necessari, la presidente ne ha raccolti 401, prevalentemente di centro-sinistra, mentre l’opposizione si è fermata a 284, soprattutto alle estreme. In verità, nel voto segreto von der Leyen ha preso 53 voti meno del totale teorico dei gruppi che la sostengono. Ma anche così, e anche aggiungendo i 35 assenti, astenuti o nulli, la von der Leyen sembra in grado di portare avanti il programma che ha illustrato con un discorso di quasi un’ora, nel quale alla riconferma di punti centrali quali l’ambiente ha aggiunto l’immigrazione, la Difesa e il Mediterraneo, in un evidente tentativo di bilanciare a destra lo schieramento.

Inutile: non solo si sono opposti i gruppi dei conservatori e dei “patrioti”, ma è fallito anche il tentativo di un compromesso con l’Italia. Per garantire al Paese, uno dei fondatori dell’Unione e tuttora tra i più importanti per dimensioni ed economia, un ruolo importante nel nuovo Governo comunitario, il Governo italiano aveva da tempo avviato trattative ufficiali e ufficiose, proseguite fino alla serata di mercoledì 17 luglio. Nonostante il pressing personale di Giorgia Meloni al G7, nonostante il lavoro diplomatico, nonostante la telefonata notturna in extremis, l’accordo non è stato raggiunto. Al voto, la maggioranza italiana di governo si è spaccata tra Forza Italia, a favore, paradossalmente insieme all’opposizione di centrosinistra, e Fratelli d’Italia e Lega, contrari. Che sia stato per le pretese italiane ritenute eccessive o per il veto franco-tedesco alla destra italiana, l’elezione ha dimostrato la distanza dell’Italia rispetto alla nuova Commissione. Una difficoltà obbiettiva per un Paese che da troppi anni si trova a dover chiedere all’Europa deroghe e considerazioni particolari per i propri problemi, dal deficit agli aiuti per le aziende in difficoltà, come si è visto per la lunghissima trattativa sul matrimonio tra ITA e Lufthansa.

È pur vero che, in attesa degli Stati Uniti d’Europa, nell’Unione conta ancora molto l’intergovernativo, nel quale anzianità e dimensioni hanno ancora qualche peso. Qui l’Italia potrebbe recuperare lo spazio politico perduto nella Commissione e nel parlamento, magari in attesa che altre elezioni spostino gli equilibri politici nell’Unione o addirittura che alla Casa Bianca torni Donald Trump, l’antieuropeo per eccellenza. È quindi possibile che, in un secondo momento, Meloni possa recuperare gli spazi che ha scelto di cedere restando fedele alla propria collocazione a destra. Tutto questo non oscura però il fatto che, nell’immediato, la conquista di una delle vice presidenze o di un commissario importante sia ora difficile, soprattutto se alle ambizioni nazionali si uniscono quelle di partito. Sembra difficile che, dovendo concedere qualcosa all’Italia, von der Leyen possa indicare qualcuno vicino a Meloni; più probabile che cerchi in Forza Italia, partito al cui vertice sta un leader, Antonio Tajani, con credenziali europee impeccabili. Questo scontenterebbe però FdI, creando problemi a Meloni.
La partita europea è solo agli inizi e sarebbe sciocco pensare che tutto sia già deciso. Altrettanto chiaro è che l’Italia sta già rincorrendo, senza necessariamente avere fiato e gambe per cinque anni.

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